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Contemporaneamente, poesia d'autore

 

Ottavo Campale

 

 

 

Ottavo Campale

O.C.13

 

E’ giunta l’ora.

Come Socrate scolpito nel destino,

consumo l’ora del saluto

a passi brevi ed indolori,

quà e là

tra i versi ponderando

o maldicendo.

E’ usanza

concepir nell’ave ad altri o tutti,

il rinnegar ritorno e pur speranze,

come tale fu per chi,

nell’unico suo orgoglio,

pronunciò per ultimo

le strofe del saluto,

e poi cosparve del suo sangue

la cicuta.

Io, Decimo fottuto,

saluto in ultimo il mio nome

ed il vessillo,

rimandando ad altro tempo

soltanto il rinsavir

di mia morale.

Non è un Addio che voglia odiare,

non un andar che possa ricucire,

e non un fulmine che acceso

illumini il volere.

Un passo, questo si;

l’andar oltre

che mortale mi permetto.

E saluto il tempo

addietro scorso,

fermo restando

al passo del mio istinto,

sorpreso per me stesso,

ma convinto.

E’ proprio giunta l’ora,

adesso imploro.

E’ il momento che rinnegar

non m’è concesso,

e forse avanti,

producendo,

avrò compreso.

Ma del socratico

conservo il mio destino,

come fine ultimo e coerente

di un disegno immateriale

concepito.

Vado solo d’altri sandali

sospinto,

guardando, nel saluto,

il duro laccio in cuoio

che scommise doloroso

il tenor delle mie tibie.

Resterà

quel segno che comparve

ai primi passi,

come orgoglio mio non ultimo

(contrario al Saggio per sommaria debolezza),

ed antico testimone,

a soffrir il mai che fu

dell’io nativo,

nella schiera dei contenti.

E tutto questo per dir solo,

di corposa resistenza:

vado avanti.

 

Modena, 9 Dicembre 1993

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