Ottavo Campale
O.C.1
Entrando per le grate
che si muovono a comando,
si spalanca alla vista la regione.
Piana, dispersa,
ci accoglie con le armi dispiegate,
canne in aria senza mira,
e teli occorsi a non riparo.
Occasione fummo
a tal rimedio.
Sono otto,
massicce,
lugubri e stizzose,
posate come vedove dormienti.
Ci aspettano.
Noi non parliamo.
Il silenzio, solo,
sembra rincuorarci.
Per il silenzio,
solo,
ci riconosciamo.
Ad altri, tutti,
e’ dovuta l’esultanza,
euforia d’animali dentro gabbie
che al miracolo ringraziano la preda.
Non la masticano,
per non lenir da stupidi affamati,
il sollazzo di un qualcosa da gestire.
Quante facce ci circondano.
Si spremono, accalcate,
e ad ogni spinta
vomitano l’acre di un sorriso.
Sian loro
i disperati?
Dal ghiaccio che conserva fra le mani
il Decimo risponde: no.
Ancora siamo noi, che non saremo.
Loro ormai
già furono.
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