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Contemporaneamente, poesia d'autore

 

Ottavo Campale

 

 

 

Ottavo Campale

O.C.6

 

Ed ecco il sogno che compare.

Nel dentro

un uomo mi cattura,

perseguita il mio viver

con la sua disperazione.

Ha un’arma fra le mani.

Ad ogni spigolo voltato

il ferro riluce e mi frattura,

mi ossessiona.

L’arma conosco.

L’uomo,

disdegno;

fallito,

accecato dall’odio e dal dolore,

disumano,

fuor di logica

e cattivo.

Perchè?

E’ lì, mi scruta,

uomo.

Ha la barba, noto.

I capelli son lunghi.

Sembra scendere da un treno.

Maledetto il treno.

La luce lo riempie alla fermata.

I volti dentro

profuman di banale.

Ma un uomo

scende.

Quest’uomo.

Capelli lunghi, barba,

un’arma in mano.

Mi guarda.

So che morirò.

Quando,

ancora non immagino.

Ecco, si avvicina.

L’arma punta

a nessun senso.

Mi guarda.

Mi guarda.

Conosce me

ed il mio istinto,

il mio pensiero e la coscienza.

Mi guarda.

Mi vedo fuggire per terrazzi,

arrampicarmi su muri di cartone

e poi cadere,

rialzarmi,

volare per nascondermi e sfuggire.

Valli sterminate

attraverso sudando,

fra rovi astuti e astuti massi,

dolorosi e colorati.

Lontano

caseggiano mattoni e tegolame,

deserti come sguardi e alcun sorriso,

oscuri alla vista e al desiderio.

Dietro, ancora,

serpeggia la voragine

a inghiottirmi.

Perchè?

Ciò che non so,

mi spinge,

e non paura.

Non so,

e m’angustio.

Sapessi, cosciente,

capirei.

Termino il sussulto e il balbettio,

grondando dalle mani

la ragione.

 

Il risveglio ricorda il terrore

nel buio della stanza,

quando rinchiudevo il cuore

fra i giocattoli e l’armadio.

Lo stesso buio intorno,

ed al posto dei giocattoli

uniformi stinte e raggrinzite,

letti a castello

e polverume.

Fra poco, forse,

sarò di nuovo mio.

Decimo fottuto.

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